Leggiamo con preoccupazione l’ennesima scontata paternale del sindacato al contempo più estremista e più conservatore sulla piazza, datata 11 dicembre e riferita ad attività previste presso l’IC “Siciliano-De Gasperi” di Capaci, in cui alcune classi delle medie, nell’ambito di un percorso di educazione alla legalità, parteciperanno a un open day presso la Caserma del 46° Reggimento dell’Esercito italiano.
Saremo telegrafici, consapevoli che, in ogni caso, useremo più delle parole che certe tiritere propagandistiche meriterebbero a replica: la nostra è sincera preoccupazione, perché assistiamo alla strumentalizzazione dei nostri ragazzi, sempre più alla mercé di narrazioni ideologizzate che poco hanno a che fare con quella “realtà reale” di cui mai come adesso avrebbero un gran bisogno. In un mondo in cui ormai quasi tutto è virtualizzato, gli adulti che vogliono definirsi tali cerchino almeno di non giocare con le parole.
Ebbene, nascondendosi dietro a un Niagara di scontatezze che più ruffiane non si potrebbe, a partire dal titolo su cui sfidiamo chiunque a non essere d’accordo (La scuola deve educare alla pace), la struttura siciliana e palermitana del “sindacato del no” arriva dopo un po’ di retoricissime giravolte a quello che è il suo vero scopo: chiedere, per tramite dell’ambito territoriale, una verifica ispettiva a carico della scuola colpevole di chissà poi che cosa (niente, è chiaro). Leggi: mettere in difficoltà la dirigente scolastica.
Possiamo dirlo con chiarezza? Siamo stanchi. Stanchi delle narrazioni che fanno di un veicolo commerciale un carro armato, di un incontro conoscitivo e a porte chiuse con professionisti del peacekeeping una “esercitazione Nato nel cortile della scuola”, di un corso di team building una “militarizzazione degli alunni”, di una visita programmata a una Caserma – che, inutile sottolinearlo, ha un ruolo di presidio e tutela della legalità in un territorio non certo facile – una “promozione di attività militari”. Ma basta! Le cose vanno dette e rappresentate per ciò che sono, non per quello che vogliamo pensare che siano, altrimenti si scivola nella tendenziosità o, nei casi peggiori, nel terrorismo verbale. Per essere ancora più schietti: un conto – e ci mancherebbe – è l’educazione alla pace (chi mai potrebbe metterla in discussione?), un altro è l’abitudine a ragionare coi paraocchi, a vedere il mondo con gli occhiali colorati o, peggio, alla malafede e alla violenza ideologica.
Ma la nostra preoccupazione più grande resta un’altra, ed è forse la più amara: riguarda i colleghi che continuano a riporre fiducia in un sindacato che, anche questa volta, ha mostrato con chiarezza i propri meccanismi d’azione, opachi e strumentali, pur ammantati di un linguaggio rassicurante. Un sindacato che si erge a paladino della pace mentre pratica sistematicamente la delegittimazione, la pressione e il sospetto come metodo di intervento.
È legittimo domandarsi se questa sia davvero la tutela che la categoria merita da un sindacato che pur con gravi perdite nell’ultima rappresentatività continua a sedere ai tavolo della contrattazione di Area. Del resto, le scelte di campo non avvengono mai per caso: per ogni delega dirigenziale, i sindacati di comparto possono contare su almeno cento o duecento deleghe tra docenti e personale Ata. Un dato che spiega molte cose e rende fin troppo evidente dove si concentri la loro reale attenzione. A questo punto la domanda è inevitabile: chi difendereste voi, se foste al loro posto?