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La scuola che dimentica: quando l’innovazione non viene riconosciuta

La scuola che dimentica: quando l’innovazione non viene riconosciuta

La scuola che dimentica: quando l’innovazione non viene riconosciuta
Ho visto dirigenti innovare, costruire, rischiare. E poi essere spostati, dimenticati,  ignorati. Anche a me è successo. Dopo anni passati a portare cambiamento nelle scuole, sono stata trasferita più volte, senza mai sentire una parola di riconoscimento. Come se nulla fosse successo. Come se il seme piantato non contasse, una volta che si cambia giardino.” Così funziona, spesso, la scuola italiana: premia la stabilità, tollera la mediocrità, ma non sa proteggere chi osa davvero cambiare le cose.

L’innovazione non è neutra

I fattori del cambiamento e le resistenze
Introdurre il cambiamento in una scuola non è mai un processo lineare. Esistono diversi fattori che possono facilitarlo: una leadership visionaria, un gruppo di docenti motivati, un contesto favorevole, il supporto degli organi collegiali. Ma accanto a questi, ci sono anche ostacoli profondi. Uno dei principali è la resistenza al cambiamento. Può manifestarsi in modi diversi: con l’inerzia passiva, con l’opposizione attiva, con il sabotaggio nascosto o semplicemente con il disinteresse. Spesso nasce dalla paura di perdere il controllo, di doversi rimettere in discussione, di cambiare abitudini consolidate. Talvolta è legata a un senso di impotenza o sfiducia: ‘tanto non cambierà nulla. Un altro elemento critico è la mancanza di continuità: dirigenti e docenti che avviano percorsi di innovazione vengono spostati, cambiano sede o ruolo, e il cambiamento si interrompe prima di consolidarsi. Senza una visione sistemica e strumenti di accompagnamento, anche i migliori progetti rischiano di dissolversi nel tempo. Per questo, oltre al coraggio individuale, serve una cultura istituzionale che accompagni, protegga e dia tempo al cambiamento. Altrimenti, chi prova a innovare resta solo.
Fare innovazione in una scuola non è solo una scelta tecnica o didattica: è una presa di posizione. È decidere di modificare equilibri, affrontare resistenze, investire su relazioni, visione, crescita. Chi lo fa, spesso lo fa a costo di tempo personale, energia emotiva, fatica silenziosa. E si aspetta, legittimamente, che tutto questo venga almeno riconosciuto. E invece? Quando finisce una reggenza o un incarico, quando si cambia  sede, troppo spesso tutto si azzera. Il lavoro resta nei documenti, nei progetti depositati, in qualche ricordo di chi c’era. Ma il sistema non lo valorizza, non lo conserva, non lo racconta. E chi ha lavorato con passione si ritrova con un senso di invisibilità professionale che logora più di qualsiasi stress.

Quando l’istituzione non protegge chi si espone
Mi sono chiesta spesso: perché succede? Forse perché l’innovazione fa rumore. Cambia pratiche, rompe abitudini, chiama le persone a mettersi in discussione. Chi la guida, diventa spesso anche un bersaglio. Ed è più facile rimuovere quella figura scomoda —anche se competente — piuttosto che tutelarla. Forse perché non esistono meccanismi sistematici di riconoscimento del lavoro profondo fatto da un dirigente: non c’è valutazione strutturata, memoria storica, archivio dei progetti trasformativi. Forse, più semplicemente, perché la cultura della scuola italiana è ancora troppo legata alla presenza fisica e alla permanenza in sede, come se il valore si misurasse solo in continuità, non in impatto.

Chi ha dato tanto… dove può andare?
Il risultato è che molti dirigenti, docenti esperti, formatori decidono di andarsene. Non per mancanza di amore per la scuola — ma per stanchezza, per disillusione, per bisogno di riconoscimento. Ed è qui che nasce una riflessione: cosa perde il sistema quando non sa valorizzare chi lo ha già migliorato? Quanto capitale umano viene disperso, solo perché non esiste un modo per dire: “Grazie. Il tuo lavoro ha fatto la differenza.”

Una scuola che ricorda, che custodisce
Forse serve ripensare il modo in cui si tracciano i percorsi dei dirigenti e dei docenti. Forse servono archivi vivi delle buone pratiche, commissioni che certifichino il valore lasciato, reti che seguano le figure chiave nel loro passaggio da una sede all’altra. Forse, semplicemente, servirebbe una cultura del riconoscimento, che non sia solo rituale, ma reale. Nel frattempo, chi si sente dimenticato ha il diritto — e forse il dovere — di raccontare la propria esperienza. Perché le storie lasciate in silenzio non servono a nessuno. Ma quelle condivise, con lucidità e coraggio, possono ancora cambiare qualcosa.

Sabina Tartaglia, dirigente scolastica
 

La redazione risponde: quando l’Amministrazione dimentica il merito – Una riflessione a partire da una testimonianza.

Come diceva Totò: “Signori si nasce, e io, modestamente, lo nacqui.”

La testimonianza di una nostra collega dirigente scolastica ci offre l’occasione per riflettere su un tema drammaticamente attuale: la mancata valorizzazione del merito da parte della nostra Amministrazione. Una dirigente che ha innovato, costruito, investito energie, si è vista trasferita, dimenticata, ignorata. Una storia, purtroppo, non isolata.

Non si tratta solo di mancanza di riconoscimento: è una precisa scelta di sistema. Un’Amministrazione che, anziché premiare chi innova, preferisce l’obbedienza muta e la stabilità priva di visione. In questo contesto, i dirigenti scolastici sono trattati come “altri”: chiamati a rispondere in termini di responsabilità, ma esclusi dai percorsi di carriera, come dimostrano i recenti bandi ministeriali dove, per candidarsi, abbiamo dovuto utilizzare l’identità digitale e non le funzioni riservate sul SIDI. Come se non appartenessimo al MIM.

Eppure, siamo parte integrante del sistema scolastico nazionale. Perché allora continuiamo a essere trattati come se fossimo un’anomalia amministrativa?

È giunto il momento di dirlo chiaramente: questo sistema non solo dimentica chi ha lasciato un segno positivo, ma lo rimuove deliberatamente. E noi non possiamo restare in silenzio.

DIRIGENTISCUOLA è e sarà sempre al fianco di chi non accetta questa logica miope e penalizzante. Difenderemo il merito, l’innovazione, la professionalità. Perché non si può costruire una scuola nuova su una cultura che punisce chi osa cambiare.

Hai il diritto di raccontarlo. E noi il dovere di gridarlo.

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