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VERSO LE FUNZIONI CENTRALI. APPROFONDIMENTO GIURIDICO

VERSO LE FUNZIONI CENTRALI. APPROFONDIMENTO GIURIDICO

Il corretto inquadramento contrattuale della dirigenza scolastica, analizzato da DIRIGENTISCUOLA e portato all’attenzione dell’ARAN nell’ambito del CCNQ 2025–2027, richiede un approccio rigoroso, fondato su riferimenti solidi e liberi da pregiudizi ideologici.

La proposta di transizione dalla contrattazione di Area a quella delle Funzioni Centrali non rappresenta una scelta arbitraria, ma una necessità giuridica, funzionale e sistemica. Le reazioni contrarie, avanzate da una sigla sindacale, si rivelano fragili, ideologiche e sostanzialmente opportunistiche.

Facendo seguito ad una prima riflessione, DIRIGENTISCUOLA intende non solo ribadire la legittimità e la coerenza del percorso proposto, ma anche offrire alla categoria un quadro interpretativo unitario, in cui il passaggio alle Funzioni Centrali emerge con evidenza come un’evoluzione logica, giuridicamente fondata e vantaggiosa per l’intera dirigenza scolastica.

 

SPECIALE – APPROFONDIMENTO 

 

Allibiti, a dir poco!

Il comunicato apparso sul sito dell’ANP del 19 u.s (CCNQ 2025-2027: il fumo, l’arrosto e le allodole), prima di essere confutato nel merito, impone una duplice notazione: o chi l’ha scritto ha davvero scarsa confidenza con la lingua italiana o – ma qualche dubbio è lecito coltivarlo – la conosce fin troppo bene.  E allora un modo di esprimersi così sguaiato (= maleducato, rozzo, volgare, cafone, grossolano…: nel dizionario della lingua italiana), del tutto gratuito e livorosamente offensivo, di certo non gli fa onore.

Dire che la collocazione dei dirigenti scolastici nell’area delle Funzioni centrali è balorda e che la balordaggine sta nel fatto che si tratterebbe di “un’operazione del tutto irrealistica, inutile e dannosa” significa dire che la Confederazione che al tavolo dell’ARAN l’ha proposta e l’aderente DIRIGENTISCUOLA che l’ha sollecitata (e puntualmente motivata) sono – sempre secondo la lingua italiana – stupide, tarde di mente, ottuse, limitate nelle facoltà intellettive, sciocche, tonte.

Più che una rovinosa caduta di stile, è la consapevolezza dell’assenza di argomenti che ha indotto l’Autore – e chi lo abbia eventualmente avallato – a far ricorso al 38° e ultimo stratagemma contenuto nel libretto di Arthur Schopenhauer, L’arte di ottenere ragione (per fas et nefas, con mezzi leciti e illeciti), dove si legge che “Quando si nota che l’avversario è superiore e che si avrà torto, si diventi aggressivi, offensivi, villani. Il diventare aggressivi consiste nel passare dal tema della discussione (avendo partita persa) al contendente, e nell’attaccare in qualche modo la sua persona”.

Nel merito – non per chi ha dato mostra di non meritarlo, ma per la categoria che ha diritto a una corretta informazione – evidenziamo, nell’ordine:

a) non è assolutamente vero che il transito dei dirigenti scolastici nell’area delle Funzioni centrali “è in radicale contrasto con le basi dell’ordinamento statale, immodificabile senza un pesante e corposo intervento legislativo su fondamentali norme imperative e di cui non si scorge all’orizzonte alcuna concreta possibilità”.

Non è assolutamente vero, poiché il solo vincolo di legge è nel numero massimo delle aree dirigenziali istituibili: non più di quattro, oltre l’extra-area della Presidenza del Consiglio. Per il resto la loro configurazione, e riconfigurazione, è materia negoziale (art. 40, comma 2, D. Lgs. 165/2001), nella disponibilità del Contratto collettivo nazionale quadro, deputato a definire, o ri-definire, i comparti e le aree per il rinnovo dei vari contratti collettivi nazionali di lavoro.

Quanto all’essere irrealistica, inutile e dannosa, riteniamo piuttosto che costituisca una fondamentale tappa per la piena perequazione retributiva con quanto percepiscono i dirigenti amministrativi e i dirigenti tecnici, dipendenti anch’essi dal MIM e ancor più specifici dei dirigenti scolastici al punto tale da non essere stricto iure dirigenti bensì attributari di posizioni dirigenziali nello svolgimento di circoscritte funzioni tecnico-professionali all’interno di una struttura organizzativa, privi di compiti di gestione delle risorse umane, strumentali e finanziarie (con relative responsabilità: che non hanno). E che ciò nonostante sono tranquillamente nell’area contrattuale delle Funzioni centrali.

Per contro sicuramente inutile e dannosa è la permanenza dei dirigenti scolastici nell’area Istruzione e Ricerca, insieme ai dirigenti delle università e degli enti di ricerca. Che ha sortito il solo effetto di rieditare – in una Sezione speciale – la riserva indiana dell’ex area quinta; oltre ad essere del tutto impropria poiché gli uni svolgono meri compiti amministrativi del tutto estranei all’organizzazione della didattica, gli altri esplicano funzioni che impegnano competenze squisitamente professionali (come i dirigenti tecnici del MIM) a far decisamente premio su quelle, peraltro eventuali, di tipo gestionale;

b) non si vede quale inferenza logica possa sostenere lo stravagante assunto – un luminoso esempio di non sequitur – secondo cui la collocazione dei dirigenti scolastici nell’area delle Funzioni centrali sarebbe “in palese contraddizione con le unanimi richieste di semplificazione della scuola, che invece sarebbe così ancora più inondata di molestie burocratiche”. Quando si tratterebbe pur sempre di svolgere – indipendentemente dall’area contrattuale di appartenenza – una funzione secondo i canoni normativi rivenienti dalla combinazione delle generali disposizioni disciplinanti la comune dirigenza pubblica (in particolare artt. 4, 5, 17 del D. Lgs. 165/2001) e della norma integrativa speciale codificata nel successivo articolo 25, a sua volta correlato al D.P.R. 275/1999, Regolamento dell’autonomia scolastica;

c) ci vuole davvero una bella faccia tosta per affermare che il riconoscimento di una piena armonizzazione retributiva è “un obiettivo costantemente e pervicacemente perseguito dall’ANP che infatti, negli ultimi sei anni, ha ottenuto un miglioramento economico dai 60.000 a 85.000 euro lordi annui medi pro capite”.

I fatti però dicono ben altro. Dicono che fino a quello del 2016-2018 in tutti i contratti collettivi nazionali di lavoro succedutisi l’ANP ha sottoscritto, insieme ai sindacati generalisti di comparto, la canonica dichiarazione a verbale che la piena armonizzazione retributiva è sistematicamente rinviata alla prossima e, beninteso, se ci saranno le occorrenti risorse economiche. Dicono – i fatti – che solo a partire dal summenzionato CCNL, quando la neonata DIRIGENTISCUOLA e subito rappresentativa si  è seduta ai tavoli negoziali, si è potuta perequare d’un botto (con un incremento di 8.500 euro annui) la retribuzione di posizione parte fissa e in seguito, ad oggi, sostanzialmente quella di parte variabile: ma dopo che abbiamo indetto una manifestazione di cinque giorni, con sciopero della fame e della sette, sotto il Palazzo di Viale Trastevere, prontamente improvvisata anche  dall’ANP e tenuta, per l’arco di mezza giornata, in una piazzetta retrostante; che indusse l’allora ministra Fedeli a riceverci e prometterci che si sarebbe impegnata a reperire le risorse (che di certo non cadono benevolmente dal cielo) almeno per la perequazione di posizione fissa (e promessa mantenuta). Fatti, inconfutabili nella loro cocciutaggine, non fumoarrosto.

Siamo invece ben lontani dalla perequazione dell’ultima voce retributiva, quella di risultato. E lo siamo anche perché il sedicente sindacato maggiormente rappresentativo della dirigenza scolastica – che in realtà da tempo rappresenta tutti i dirigenti pubblici, a partire dal suo Presidente che è un dirigente tecnico con funzioni ispettive, nonché le autodefinitesi alte professionalità – ha sostenuto per vent’anni, insieme alle tradizionali sigle di comparto,  tutti quei proliferanti e molesti mostri cartacei, eternamente sperimentali, siccome ritenuti idonei a cogliere sempre la fantomatica specificità. Una specificità qui dilatata al punto tale da mutare il codice genetico di una valutazione dirigenziale: non già fondata sul raggiungimento degli obiettivi formalizzati nel provvedimento d’incarico e sull’accertamento di precisi standard inerenti al comportamento organizzativo (come per tutta la restante dirigenza pubblica e come statuito dalla legge anche per quella agita nelle istituzioni scolastiche: art. 21 del D. Lgs. 165/2001), bensì “finalizzata alla valorizzazione e al miglioramento professionale del dirigente nella prospettiva del progressivo incremento della qualità del servizio scolastico, accompagnato da iniziative di formazione continua” e “disconnessa dalla retribuzione di risultato”. È messo – proprio così! – nero su bianco nel decreto direttoriale n. 971 del 21 settembre 2016 concordato, in clandestinità, dall’Amministrazione e dalle altre sigle sindacali, ANP inclusa, dopo che DIRIGENTISCUOLA aveva abbandonato il tavolo del confronto per essere irricevibile l’ennesimo caravanserraglio escogitato, fortunatamente l’ultimo e anch’esso puntualmente abortito.

Ora – alla buon’ora – è intervenuto il Legislatore apprestando, con decreto legge 71/2024 e legge di conversione 106/2024, anche per la dirigenza scolastica un dispositivo di valutazione – snello e sostenibile – modellato su quello in uso per tutti i dirigenti pubblici statali e in particolare per i dirigenti sia amministrativi che tecnici del MIM, aprendo la strada per una retribuzione di risultato seria in luogo di quella mancia fin qui corrisposta e quantificata, con criteri di mero automatismo, sulle fasce di complessità delle istituzioni scolastiche. E naturalmente, puntuale come l’esattore delle imposte, l’ANP se ne è appropriata la paternità!

 

Dopo di che, siamo ben consapevoli che per raggiungere – sotto il duplice profilo economico e normativo –  il traguardo di una dirigenza vera e non più figlia di un dio minore occorre incalzare sempre il Legislatore per le modifiche di sistema del D. Lgs. 165/2001. E magari in occasione della preannunciata riscrittura del Testo unico della scuola ex D. Lgs. 297/1994, in concomitanza dell’espunzione dell’attuale, e virtuale, articolo 396, intestato ad una funzione direttiva non più esistente, potrebbe operarsi la formale de-specificazione della dirigenza scolastica, così emendandola dal suo vizio d’origine, di essere stata abusivamente prenotata da una preistorica fonte negoziale, l’articolo 32 del CCNL del 03.04.1995, che ebbe a inventare la “distinta area della specifica dirigenza scolastica nell’ambito del comparto scuola, non assimilabile alla dirigenza regolata dal decreto legislativo 29/1993”: poi recepita dalla legge delega 59/1997 e susseguente decreto legislativo 59/1998, confluito nell’articolo 25 del D. Lgs. 165/2001 e, per le modalità di reclutamento, nell’ora abrogato (recte: reiscritto) articolo 29 ad opera dell’articolo 17 del D.L. 104/2013, convertito dalla legge 128/2013.

Alla luce delle modifiche normative dell’originario impianto della legge 59/1997 (tra le quali quelle apportate dalla c.d. Riforma Brunetta, ex D. Lgs. 150/2009, e dalla legge 107/2015 sulla Buona scuola), non parrebbe sussistere nessun ostacolo alla soppressione, secca, dell’intero articolo 25; che – a ben riflettere – è tecnicamente superfluo, perché non imposto da nessuna esigenza di sistema, sortendo anzi il solo effetto di intorbidarne la coerenza e l’armonia. Del resto, la specificità delle funzioni è menzionata in un fugace passaggio, dovendosene tenere conto solo ed esclusivamente, e in concorso con altri comuni parametri, agli effetti della valutazione dei risultati, come per tutta la dirigenza.

A ben vedere, la specificità è un pleonasmo, significando, alla fin fine, che la funzione dirigenziale nelle istituzioni scolastiche incrocia la presenza di soggetti che operano con larga discrezionalità tecnico-professionale – il che caratterizza non soltanto la scuola, ma anche altre amministrazioni pubbliche che erogano servizi alla persona – e l’esistenza di organi collegiali non meramente consultivi, bensì deliberanti, peraltro governati dal dirigente in posizione di primazia quale presidente, ovvero – nel Consiglio d’istituto – intestatario del potere di proposta; rispetto ai quali organi è doverosamente chiamato a realizzare un efficace raccordo perché possano al meglio esercitare le rispettive competenze, ma non risponde ad essi in senso tecnico-giuridico e avendo l’obbligo di non eseguire delibere illegittime.

La domanda è allora semplice: è disposta l’ANP a spendersi per questa impresa, senza menare il can per l’aia?

Semplice ma retorica, perché conosciamo perfettamente la ragione vera, e inconfessabile, della sua sbracata reazione contro l’inserimento dei dirigenti scolastici nell’area delle Funzioni centrali: che per la CIDA, Confederazione cui appartiene l’ANP, comporterebbe sì in questa un suo incremento percentuale, ma la perdita della rappresentatività nell’area dell’Istruzione (che sarebbe solo universitaria) e Ricerca. Rappresentatività che si restringerebbe così alle sole due aree delle predette Funzioni centrali e della Sanità.

Trattasi dunque di prosaici – e molto solidi – interessi di bottega. Nulla di più e nulla di nobile!

 

 

 

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