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RICEVIAMO E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO

CARO DIRIGENTE, MI CAMBI IL TURNO? E SE NON MI PIACESSE?!

Spett. le Dirigentiscuola,

mi hanno sempre detto e ho studiato sui manuali che il dirigente deve prima di tutto risolvere problemi.

Ebbene, pochi giorni fa ho dovuto affrontare la seguente questione, peraltro di ordinaria amministrazione in un istituto complesso come quello in cui presto servizio (una scuola superiore con diversi indirizzi di studi e circa 1500 alunni).

Ho constatato che, a causa di una serie di imprevisti, per ben due ore, ogni pomeriggio, il centralino-portineria all’ingresso dell’istituto restava sguarnito con evidenti rischi per gli alunni impegnati in progetti, corsi, sportelli e altre attività extracurricolari e per lo stesso personale presente (non è raro che nel plesso cerchino di introdursi estranei).

Il problema era semplice, almeno in apparenza, così come la soluzione, immediata ed elementare: cambiare i turni di lavoro dei collaboratori addetti per risolvere la questione sicurezza al pomeriggio. Ne discuto con il Dsga e così si decide, per il bene della sicurezza di tutti.

Volendo fare le cose per bene, qualche giorno prima del cambio turno ho convocato i due collaboratori coinvolti alla presenza del Dsga per informarli della situazione e delle motivazioni che ci avevano condotto a tale scelta. A dire il vero sembravano anche contenti del cambio: in effetti il pomeriggio l’affluenza è ridotta e a dirla tutta si fa anche  meno fatica con telefonate e quant’altro. Strategia win-win.

Tutti contenti, si parte. Macché. Non passano tre giorni che ricevo una missiva, da parte di una nota sigla sindacale, con il seguente oggetto: “Richiesta ripristino orario di servizio”. Motivazione: il cambio genera stress psicofisico, si mette a repentaglio la salute del lavoratore e poi “tale situazione risulta chiaramente attestata nel giudizio diagnostico della commissione medica XXXX del XXXX regolarmente in possesso della Scuola, che certifica l’impossibilità del dipendente XXXX di essere sottoposto a tali condizioni organizzative.

Insomma quel cambio orario sembrava essere la causa di tutti i mali del dipendente, vessato e prostrato psicologicamente da un semplice cambio turno funzionale al buon andamento della scuola. E peraltro sarebbe stato pure illegittimo, viste le presunte limitazioni di mansionario.

A questo punto, con solerzia e senza frapporre altro tempo, non mi resta che andare a consultare l’invocato verbale della Visita collegiale, dal quale si sarebbe presuntivamente potuto evincere chiaramente e inequivocabilmente il mio misfatto. Senonché, sorpresa delle sorprese, le limitazioni in esso contenute non facevano minimamente menzione dell’orario di lavoro, ma in sostanza erano riferite a: pulizie di grandi spazi; ausilio alunni svantaggiati; movimentazione di carichi pesanti, e tutte le mansioni (si badi bene, non orari: quello che deve fare il dipendente, non quando deve farlo) che sottopongano a stress psicofisico il lavoratore.

Ma presidiare un centralino alle 10 di mattina quando a scuola ci sono 1500 persone, ne arrivano parecchie ogni ora e il telefono squilla di continuo, non dovrebbe a rigor di logica essere molto più stressogeno che farlo alle 16 del pomeriggio, con le aule praticamente vuote e pochissimi visitatori e telefonate? Dunque se anche ci si vuole “appigliare” a questo, il cambio risulta chiaramente vantaggioso per il dipendente.

Tutte le limitazioni, nemmeno il caso di dirlo, erano dunque pienamente e rigorosamente rispettate anche in senso migliorativo. Ora, cosa vengo a sapere poco dopo? Che tutte queste lagnanze derivano dalle solite ragioni personali: il nuovo collega del turno non gli era simpatico (come, peraltro, quelli del turno diurno, quelli del reparto dell’anno precedente e via discorrendo…). Ecco svelato il motivo di tutto il pandemonio.

Non finisce qui: ovviamente, all’esito dell’istruttoria, è dovere (oltre che garbo istituzionale) fornire tempestivo riscontro alla OS esponente, il che costa a me alla segreteria (stesura, protocollo, invio, ecc.) ancora una buona oretta di tempo ed energie.  

Ora, senza farla troppo lunga faccio alcune riflessioni:

1) I lavoratori della scuola hanno chiaro il concetto di limitazione alla mansione? In altre parole: hanno capito che le prescrizioni sono ben definite e limitate ad ambiti ben precisi o pensano che il fatto stesso di avere alcune limitazioni li giustifichi nel pretendere “la qualunque” e sia il salvacondotto per qualsiasi rimostranza campata per aria? La limitazione non è come la sirena dei mezzi di soccorso, che accendi alla bisogna e permette di fare tutto e il contrario di tutto in qualsiasi momento, ma condizioni ben determinate a cui (e solo a quelle) il datore deve attenersi.  
2) A certi sindacati, che pure hanno un ruolo sacrosanto nella tutela dei lavoratori (a patto che lavorino davvero), conviene giocarsi la faccia per un pugno di tessere? Non sarebbe meglio, prima di mettere nero su bianco su carta intestata della OS emerite falsità (perché senza girarci intorno di questo si tratta), informarsi e farsi un paio di domande sull’indifendibilità di chi hanno di fronte e su chi stanno cercando di tutelare? Sarebbero senza dubbio più credibili e darebbero veramente una mano a costruire una società migliore se così facessero. Oltre a non mettere a repentaglio un sudato prestigio.
3) A margine: le visite collegiali vengono svolte seriamente o sono l’occasione per mettere nero su bianco tutte le richieste (anche le più vaghe e improbabili) del lavoratore ostinato? Se è vero che chi firma questi verbali si fregia di un titolo scientifico (dottore), mi aiutate a capire che valore scientifico possono avere diciture vaghe e generiche come “tutte le mansioni che espongono a stress”? E se il lavoratore sostiene che il semplice guardare un accesso lo espone a stress?
4) Con un po’ più di buonsenso non si potrebbe evitare a tutti perdite di tempo inutili e costose per le Casse dello Stato, cioè di tutti noi? Perché le nostre tasse finiscono anche qui.

Grazie, 

un dirigente sconcertato e amareggiato.

 

LA REDAZIONE RISPONDE

Caro collega,

la tua lettera è lo specchio fedele del disagio che molti dirigenti scolastici vivono ogni giorno, stretti tra responsabilità gestionali sempre più complesse e una rete di vincoli, resistenze e letture distorte della normativa che spesso svuotano di senso anche le decisioni più logiche e funzionali. Quella che descrivi è una situazione tanto ordinaria quanto paradossale: un intervento minimo di rimodulazione dell’orario, pensato per garantire la sicurezza e migliorare l’efficienza del servizio, diventa pretesto per contestazioni sindacali, affermazioni infondate e uso disinvolto delle certificazioni sanitarie. Il tutto con aggravio di lavoro, tempo sottratto ad attività ben più rilevanti e una profonda amarezza per chi, come te, cerca di “risolvere problemi” – come dovrebbe fare ogni buon dirigente.

Hai sollevato questioni centrali, che meritano una riflessione collettiva e sindacale: troppe volte, nella prassi scolastica, si assiste a un uso strumentale delle certificazioni mediche, piegate a logiche di convenienza individuale anziché lette in chiave oggettiva e funzionale. Limitazioni generiche come “mansioni che espongano a stress psicofisico” non possono diventare un passe-partout per sottrarsi a qualunque incarico o orario sgradito. La medicina del lavoro è cosa seria, e come tale deve essere rispettata, senza derive interpretative arbitrarie.

Le sigle sindacali hanno – e devono avere – un ruolo cruciale nella tutela dei diritti dei lavoratori, ma questa funzione perde legittimità quando viene piegata alla difesa acritica di comportamenti o posizioni indifendibili. L’autorevolezza sindacale si fonda anche sulla capacità di discernere, di ascoltare tutte le parti e di non farsi strumentalizzare. Difendere tutto e tutti, sempre e comunque, mina la credibilità del sindacato e rende i dirigenti (scolastici e amministrativi) bersagli facili e isolati.

La solitudine del dirigente: la tua firma – “sconcertato e amareggiato” – racchiude il sentimento di chi ogni giorno è chiamato a garantire il funzionamento di una macchina complessa, spesso senza strumenti adeguati, senza tutele simmetriche e con un margine d’azione sempre più ristretto. Ed è proprio per questo che DIRIGENTISCUOLA esiste: per spezzare questa solitudine, offrire supporto concreto, tutela sindacale vera e rappresentanza forte, autonoma e coerente.

Caro collega, ti siamo vicini. La tua denuncia non cade nel vuoto. Continueremo, anche a partire da testimonianze come la tua, a portare nelle sedi opportune – ministeriali, contrattuali, istituzionali – la voce di chi ha il coraggio di assumersi responsabilità, anche quando farlo significa esporsi a incomprensioni e attacchi ingiustificati.

Un caro saluto solidale

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