Da quando in qua il numero uno di un sindacato di docenti rilascia un’intervista per dire che i dirigenti scolastici sono pagati troppo poco? Eppure è quello che è successo con il presidente del “sindacato dei presidi”, che a fronte di domande precise sullo status (e sulla retribuzione) dei dirigenti scolastici non ha saputo rispondere altro che… i docenti sono sottopagati! Roba da non credere.
Ormai le carte sono sempre più scoperte, senza nemmeno bisogno di fingere. Andiamo dritti al punto: in una recente intervista su una nota testata scolastica, il “presidente del sindacato dei presidi”, alla domanda (attuale e di grande rilievo per la categoria) in cui gli si chiedeva puntualmente “molti suoi colleghi lamentano la mancanza di misure rivolte alla valorizzazione della figura dei dirigenti scolastici. È d’accordo?”, è riuscito nell’ennesimo capolavoro, statistico prima ancora che retorico.
Da buoni filologi siamo avvezzi a questo genere di conteggio, che nel caso di specie è anche sorprendentemente semplice: ebbene, su 99 parole di replica, solo 6 (sei) e perdipiù le ultime (cit: lo-stesso-avviene-per-i-dirigenti) sono riservate effettivamente ai dirigenti scolastici: le precedenti 93 (insomma, il 93,9%) sono tutte per commiserare le “pene retributive” di docenti e ata.
Non va meglio nel resto del colloquio, con il numero uno “sindacato dei presidi” che relega i medesimi a un ruolo incredibilmente marginale, più da “comprimari per caso” che da protagonisti per scelta e vocazione: ogniqualvolta gli viene posta una domanda diretta sulla situazione dei dirigenti scolastici, il “volo” parte da sempre più lontano, la si prende sempre più alla larga, pretendendo di inquadrare il ragionamento “nel contesto più ampio dell’intero comparto”. Forse confondendo l’ “ampio respiro” con la strumentale elusività, tanto che a un certo punto si nota imbarazzo perfino nel giornalista, che disperatamente cerca di riportare l’intervista sui giusti binari.
Stavolta, nonostante ormai siamo abituati proprio a tutto, il “sindacato dei presidi” ci ha veramente sorpreso. E attenzione: qui non si tratta di impostazione di ampie vedute, si tratta di non voler rispondere punto per punto sulla reale situazione di chi si pretende di tutelare: perché non parliamo dei dirigenti scolastici? Perché prenderla sempre alla larga? A chi si sta parlando? A chi si sta tirando la volata?
La risposta è evidente, alla luce di quello che il sedicente sindacato dei presidi è diventato: un “florilegio” (eufemisticamente parlando) di professionalità diverse, portatrici, come è naturale, di interessi inevitabilmente contrapposti: dalle “alte professionalità della scuola”, che dirigenti non sono – e che non possono vedere di buon occhio un nostro avanzamento retributivo – a quei famosi dirigenti tecnici e amministrativi che in soldoni portano a casa 20mila euro all’anno più di noi, e sono pronti a fare di tutto pur di tenere la roccaforte.
Posizione sempre più scomoda, quella del “sindacato dei presidi”. Che li costringe a inscenare doppi e tripli teatrini, perché i cerchi e le botti a cui elargire colpi e colpetti stanno diventando un po’ troppi: capita così che a uno dei tavoli più sterili (e irridenti) di sempre, quello per la Semplificazione dello scorso 7 novembre, vedi i “presidi” fare buon viso a pessimo gioco nell’intenzione di tenere buoni quegli amministrativi nelle cui file si anela ad essere cooptati: e qualche giorno dopo li scopri riprendere la tiritera pro-docenti già inaugurata – per chi ha buona memoria – qualche settimana or sono da un noto esponente della struttura laziale, che alla domanda (anche qui netta e precisa) sul potere sanzionatorio dei DS esordì mettendo voltairianamente le mani avanti in merito all’antropologica e quasi naturale “bontà” del personale docente (su cui, sia ben chiaro, anche noi non nutriamo il minimo dubbio: il fatto è che si parlava d’altro).
E non è neppure questione di divide et impera, perché di tutto c’è bisogno fuorché di quello. Qui non si sta dividendo nessuno, perché è il confronto stesso a non reggere ab origine. Il problema è sempre l’impostazione generale del ragionamento: esiste una dirigenza pubblica, la categoria ne fa parte e con questa va raffrontata, senza se e senza ma. Per scoprire – e denunciare, perché questo significa “fare sindacato” – che il dato di fatto è che non siamo considerati dirigenti come gli altri, anche qui senza girarci intorno, né sotto l’aspetto giuridico e delle tutele, né, men che meno, sotto quello stipendiale.
Questo bisognerebbe dire, senza voli pindarici né sterili “volemose bene” di facciata (o di comodo) che finiscono per non fare davvero il bene di nessuno. D’altra parte avete mai sentito i sindacati dei docenti e degli ata dire che noi guadagniamo troppo poco? E ribadirlo per il 95% di un’intervista che dovrebbe essere dedicata a loro? Cose dell’altro mondo…
O forse, peggio ancora – e qui chiudiamo lasciando il resto all’immaginazione dei colleghi – cose di questo mondo: un mondo in cui ci sono dirigenti scolastici che si affidano a una sigla che invece di tutelarli va dicendo che guadagnano già fin troppo. D’altronde a guardar bene non stupisce: cosa aspettarsi da un sindacato che, ormai da anni, non è più “dei dirigenti scolastici”, ma della “dirigenza pubblica”, nonostante continui a conservare un acronimo quantomeno fuorviante? E da un presidente che non è affatto un collega, ma uno di quei dirigenti tecnici che – loro sì – intascano laute retribuzioni di risultato mentre va predicando di non lamentarci del nostro stipendio? In effetti tutto torna e tutto si spiega. Tranne le esitazioni di chi, nella categoria, tarda ancora ad aprire gli occhi.